Spesso l’agenzia delle Entrate, in presenza di riserve di utili, provvede a riqualificare l’operazione di trasferimento delle partecipazioni rivalutate come distribuzione di dividendi. Ciò anche in caso di acquisto di azioni proprie, laddove, secondo l’amministrazione, il corrispettivo per la cessione dei titoli “nasconderebbe” una ripartizione di utili. Tuttavia, non si ravvisa alcuna differenza tra il soggetto che rivaluta il costo fiscale della partecipazione al capitale di una società, il cui complesso aziendale è caratterizzato dalla presenza di plusvalori latenti, e chi rivaluta il costo fiscale della partecipazione in una società con patrimonio composto anche da riserve di utili distribuibili. Una volta introdotta normativamente la possibilità di rivalutare il costo fiscale delle partecipazioni, da utilizzarsi al fine di determinare il capital gain realizzato in sede di cessione delle stesse, la “spendita” del costo fiscale rivalutato è ammessa in tutte le cessioni di partecipazioni, anche in quelle il cui effetto, sotto il profilo economico-sostanziale, risulta anche la monetizzazione indiretta delle riserve di utili presenti nel patrimonio della società i cui titoli sono oggetto di cessione. In altri termini, non c’è ragione per ritenere che il vantaggio fiscale derivante dalla rivalutazione della partecipazione debba essere considerato in linea con la finalità della disposizione che l’ha introdotta nell’ordinamento solamente qualora oggetto di cessione sia la partecipazione in una società sostanzialmente priva di riserve di utili; allo stesso modo, non può ritenersi frutto dell’aggiramento di tale disposizione il fatto che la cessione abbia ad oggetto la partecipazione in una società con patrimonio caratterizzato dalla presenza di ingenti riserve di utili. In tutti i casi in cui il contribuente versi l’imposta sostitutiva, nella prospettiva di risparmiare parte del carico fiscale da lui dovuto per la cessione della partecipazione rivalutata, non si verifica alcuna strumentalizzazione della norma che ha istituito la rideterminazione del valore fiscale delle partecipazioni, né tantomeno il risultato conseguito contrasta con la sua ratio. Il comportamento del contribuente risulta, anzi, perfettamente in linea con quest’ultima e gli consente di ottenere un risultato previsto e voluto dal legislatore (legittimo risparmio d’imposta, in base al comma 4 dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente). In definitiva, poiché l’affrancamento delle partecipazioni consente di “monetizzare” indirettamente anche gli utili presenti nel patrimonio della società, non si può certo sostenere che l’affrancamento delle partecipazioni risulti elusivo per il fatto che nella società partecipata siano presenti riserve di utili.
Francesco Paolo Fabbri
Stefano Zanardi
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